Gli atenei italiani insieme per le aree a rischio

foto Regione Marche

Comunicato stampa del 13 Marzo 2017

Una iniziativa unica, a livello nazionale, che si propone di offrire alta formazione specializzata per affrontare i problemi dei territori a rischio, per eventi sismici, per dissesti idrogeologici, per degrado e abbandono delle aree interne. Con il Master “Città e territorio” sono stati coinvolti, da subito, 40 Dipartimenti e Centri di ricerca di altrettanti Atenei, aderenti alla SIU Società Italiana degli Urbanisti, l’INU Istituto Nazionale di Urbanistica, al quale sono iscritti  migliaia di dirigenti comunali, provinciali e regionali e professionisti, l’ ISTAO Istituto Adriano Olivetti, che coinvolge imprenditori ed esperti, il CeNSU, al quale aderiscono gli Ordini Professionali degli Ingegneri.

Il Master, riconosce 60 crediti formativi e 1.500 ore di didattica, fornita dai più noti capiscuola italiani dei settori coinvolti, provenienti da tutti gli Atenei del Paese, e da esperti impegnati in enti pubblici. Verrà organizzato anche un Workshopresidenziale per la formazione avanzata sulle problematiche della ricostruzione nelle aree del cratere. Un ciclo di seminari, laboratori e testimonianze di esperti per costituire un supporto organico, e non casuale o improvvisato, alla popolazione dei luoghi. Un master, quindi, che potrebbe avviare un workshop permanente, una fucina di riflessioni operative condivise per gestire la ricostruzione, dopo l’emergenza; una struttura di raccordo tra gli abitanti dei luoghi (con le loro radicate attività di allevamento, agricoltura di pregio, turismo, commercio di qualità), le rappresentanze sociali, le amministrazioni locali, dotate di pochi tecnici e pochi mezzi, le Regioni, il Commissario governativo. Un inedito processo di partecipazione per le aree del cratere, che ripartirà da alcuni percorsi virtuosi già tracciati in occasione del post-sisma in Emilia, Umbria, Marche.
 
In tale contesto possono trovare spazio tutte le più avanzate tecnologie, che rendano meno soli, meno abbandonati, e non più avviati verso una fase terminale di declino, i territori della diffusione. Con un sistema di monitoraggio avanzato, capace di allertare gli abitanti e gli enti di pronto intervento sui potenziali effetti a cascata generati da eventi sismici, da grandi dissesti franosi, valanghe, tracimazioni di fiumi e torrenti.  Vanno dunque individuati, in modo puntuale, disegnati anche a scala di dettaglio, scenari di assetti che definiscano il rapporto tra aree costruite ed aree libere, spazi dove ubicare gli edifici pubblici e le strutture di emergenza, i nodi viari, lontani da rischi di possibili crolli di murature o di versanti franosi, in grado di garantire l’accessibilità interna o esterna, anche in condizioni di calamità naturali, i sistemi a rete volti ad assicurare la fornitura del servizio anche in situazioni di forti fenomeni meteorologici avversi. 
 
In Italia, in occasione di eventi sismici che hanno generato grandi tragedie, si è persa spesso l’occasione di avviare nuovi modelli e progetti di sviluppo, in grado di cogliere le esigenze di protezione dai rischi e di sostegno all’economia, espresse dagli abitanti dei luoghi, e dare risposte adeguate in nella fase successiva del processo di ricostruzione. Le diversissime esperienze, da quelle del lontano 1908 di Messina e Reggio Calabria, del 1915 di Avezzano, a quelle del Friuli del 1976, dell’Irpinia del 1980, di Ancona nel 1972, dell’Umbria nel 1980, delle Marche del 1997 e dell’Aquila nell’Aprile 2009, della Pianura Padana del 2012, non possono essere trascorse invano. Cosa è oggettivamente in gioco? L’abbandono definitivo di gran parte delle aree interne del centro Italia. Il costo, in termini umani, culturali ed economici, è insostenibile.