Giornata della memoria

Le "Pietre d'inciampo" in via Santa Margherita ad Ancona

25 gennaio 2018

Il ricordo del prof. Raffaele Zanoli: “il tempo può anche portare il perdono ma non certo l’oblio”.

 

Il 27 gennaio è un giorno per me doppiamente significativo.

È il giorno che, dal 2005 e per decisione dell’Assemblea Generale dell’ONU, è ufficialmente dedicato alla commemorazione delle vittime della Shoah e delle persecuzioni razziali nazifasciste del secolo scorso.

È anche il giorno in cui è nata mia mamma Amelia che, bambina di 8 anni, di quelle persecuzioni è stata vittima e testimone.

 

Nel 1943 quella bambina era sfollata a Castiglione dei Pepoli, comune dell’Appennino bolognese, per sfuggire ai bombardamenti alleati su Bologna, dove viveva con la sua famiglia, di origine anconetana.

Con lei c’erano oltre al suo papà Gustavo e alla sua mamma Ines, anche i nonni paterni Achille ed Elsa e lo zio Gino, fratello di Gustavo. Erano da poco giunti a Bologna dopo che i nonni e lo zio, ebrei come il papà Gustavo, avevano dovuto lasciare Ancona nel 1940 a seguito delle leggi razziali. Il nonno Achille, medico e primo ostetrico della città di Ancona, di cui era stato anche presidente dell’Ordine dei Medici, era stato infatti internato prima a Camerino (MC), poi a Montefalco (PG) e infine a Fano (PU) prima di essere “graziato” per motivi di salute ma con l’obbligo di non poter “eleggere il suo domicilio nell’ambito della Provincia di Ancona” né potersi recare ad Ancona se non previa autorizzazione della Questura.

 

Il 4 dicembre del ’43 le SS fanno irruzione nella casetta in cui viveva mia mamma e la sua famiglia. Dicono che l’indomani preleveranno Achille, Elsa e Gino e che in seguito torneranno a portare via anche suo papà Gustavo e mia mamma, perché comunque figlia di padre ebreo. Achille, già provato dagli anni d’internamento, dai continui spostamenti per sfuggire alle persecuzioni razziali o ai bombardamenti alleati, dal sequestro di molti suoi beni e dall’alienazione forzata della casa di famiglia ad Ancona, si sente male e non supera la notte. Verrà sepolto in fretta la mattina dopo, poco prima che la nonna Elsa e lo zio Gino fossero arrestati. Verranno portati a Fossoli e poi ad Auschwitz dove, secondo la testimonianza di Primo Levi, furono immediatamente “eliminati”.

 

La mia mamma ha vissuto per tutta la vita con questo trauma tremendo nel cuore e con la paura, durata ancora per molti mesi, fino alla definitiva Liberazione, che effettivamente “sarebbero tornati a prendere anche lei”. Un trauma che le ha impedito per anni di ricordare, di voler ricordare, perché quelli che sono scampati allo sterminio hanno vissuto il loro essere ancora vivi quasi come una colpa, come la storia e il suicidio di Primo Levi dimostrano in modo emblematico. Per i superstiti, infatti, il compito più difficile non è stato quello di perdonare i carnefici, ma perdonare sé stessi per essere sopravvissuti ai loro cari.

In questi giorni, insieme ad altre, sono state posate le “pietre d’inciampo”* (Stolpersteine) realizzate da Günter Demnig in memoria dei miei bisnonni, arrestati dalle SS e deportati ad Auschwitz.

In accordo con il Comune le abbiamo fatte posare davanti a quella che era la casa dei miei bisnonni, dove mia mamma da ragazzina giocava: la villa Almagià-Guglielmi, ora sede del Centro Studi INRCA, in via Santa Margherita.

Quella casa che ad Ancona è ancora ricordata con il nome di chi la acquistò in forza dell’internamento di mio bisnonno, prima di cederla ai frati molti anni dopo.

Quelle pietre dorate che saltano all’occhio nel nero dell’asfalto sono un piccolo, tardivo ma significativo contributo alla memoria dei miei nonni, che pagarono con l’allontanamento da Ancona e, poi, con la vita la “colpa” di essere nati ebrei.

 

Scrivo questa breve nota, che accompagna le foto di quelle pietre, senza rabbia e rancore: perché il tempo può anche portare il perdono ma non certo l’oblio.

A differenza di Liliana Segre, penso infatti che si possano perdonare i singoli uomini, persino quelli responsabili dei delitti più efferati, ma non si possono perdonare le idee che portarono quegli uomini a perdere la loro umanità e fare della follia nazi-fascista una tragedia collettiva che ancora continua a inquinare anche i nostri giorni.

Perché la memoria resti, e ci aiuti a non commettere altre atrocità. 
Shalom, Frieden, Pace.

 

Raffaele Zanoli, Professore ordinario di economia Agraria ed Estimo

 

 

* Il progetto “Pietre d’inciampo” fa parte del "Tavolo della memoria" costituito dall’Assemblea Legislativa delel Marche con altri enti e associazioni per ricordare l'Olocausto.