Malattia di Alzheimer: si apre una nuova prospettiva

alzheimer cervello neuroni univpm studio Prof. Conti

12 Novembre 2021

È stato recentemente pubblicato uno studio collaborativo internazionale su Progress in Neurobiology dal titolo “ Genetic deletion of α7 nicotinic acetylcholine receptors induces an age-dependent Alzheimer’s disease-like pathology” che ha coinvolto il gruppo Università Politecnica delle Marche, Inrca IRCCS coordinato dal Prof. Fiorenzo Conti e le Università di Catania, Roma Cattolica, New York.

 

La Malattia di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa dell’età senile caratterizzata dal declino progressivo delle capacità cognitive fino a un quadro di grave demenza tale da rendere il paziente incapace di svolgere le normali attività della vita quotidiana. L’incidenza è in costante aumento e rappresenta una emergenza socio-sanitaria. Al momento non sono disponibili terapie efficaci in grado di guarire la malattia o rallentarne sensibilmente la progressione, perché le cause della malattia non sono note.

 

Il cervello dei pazienti con Malattia di Alzheimer è atrofico e presenta due caratteristiche lesioni: le placche senili, costituite da depositi di proteina b-amiloide e i grovigli neurofibrillari, formati da accumuli di proteina tau iperfosforilata. Negli ultimi decenni moltissimi studi si sono focalizzati sugli effetti della proteina b-amiloide. Considerato che diverse prove ottenute sia in modelli in vitro e in vivo hanno confermato il ruolo patogenetico della proteina b-amiloide, sono stati sperimentati diversi farmaci con l’obiettivo di diminuirne i livelli per ripristinare le funzioni cerebrali nei pazienti con MA. Questo approccio però non ha dato i risultati sperati.

 

Le ragioni potrebbero essere diverse, incluso il fatto che la Malattia di Alzheimer sembra avere un’etiologia multifattoriale di cui ancora non conosciamo tutti gli aspetti. Un fatto però sembra essere rilevante: la proteina b-amiloide, in un cervello sano, esercita una funzione fondamentale nei processi di plasticità sinaptica che contribuiscono alla formazione della memoria. Infatti, la somministrazione di basse concentrazioni della proteina stimola il potenziamento a lungo termine dei neuroni ippocampali, fenomeno cellulare alla base della memoria, e migliora l’apprendimento.

 

Inoltre, l’utilizzo di specifici anticorpi anti-b-amiloide in animali sani ha un effetto negativo sui processi di plasticità e memoria ipppocampo-dipendenti, confermando che la proteina b-amiloide è necessaria per il corretto funzionamento delle stesse aree cerebrali che si alterano nella Malattia di Alzheimer.

 

Questo effetto fisiologico è mediato dal recettore a7 nicotinico per l’acetilcolina ed è interessante notare che il deficit della trasmissione nervosa mediata da questo recettore sia un marker caratteristico della Malattia di Alzheimer, tanto che i farmaci attualmente in commercio mirano proprio ad aumentare i livelli di acetilcolina alla sinapsi. Su queste premesse, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che è proprio il malfunzionamento o la carenza del recettore a7 nicotinico a innescare la patologia.

 

In uno studio collaborativo internazionale recentemente pubblicato su Progress in Neurobiology (Tropea et al, Genetic deletion of α7 nicotinic acetylcholine receptors induces an age-dependent Alzheimer’s disease-like pathology; doi: 10.1016/j.pneurobio.2021.102154), che ha coinvolto il gruppo UNIVPM/INRCA IRCCS coordinato da Fiorenzo Conti e le Università di Catania, Roma Cattolica, New York, gli autori hanno infatti dimostrato che topi geneticamente modificati che non esprimono il recettore nicotinico a7 vanno incontro alle alterazioni tipiche dellaMalattia di Alzheimer, prima tra tutte l’aumento della proteina b-amiloide.

 

Si tratterebbe però di un aumento compensatorio in risposta alla carenza del suo recettore, meccanismo tipico della gran parte dei processi omeostatici del nostro organismo. Ciò, nel tempo, creerebbe un circolo vizioso che porterebbe all’accumulo della proteina a livelli tossici, con conseguente alterazione della memoria ma anche aumento della proteina tau iperfosforilata, formazione dei grovigli neurofibrillari e alterazioni dei neuroni e degli astrociti. 

 

Questa scoperta è fondamentale perché fornisce una nuova prospettiva sul ruolo della b-amiloide nella Malattia di Alzheimer e contribuisce a spiegare perché molte strategie terapeutiche mirate a diminuire i livelli di b-amiloide non hanno avuto successo. Infatti, secondo questa visione, l’aumento della proteina potrebbe consistere in un tentativo dell’organismo di rispondere al processo patologico. È quindi necessario comprendere meglio questi meccanismi per chiarire la causa dell’insorgenza della patologia e, di conseguenza, trovare nuove strategie terapeutiche razionali ed efficaci.