Nuovo studio sulla Sclerosi Tuberosa su Nature Communications

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5 Ottobre 2021

Un nuovo studio sulla Sclerosi Tuberosa frutto della collaborazione tra Harvard Medical School e l’Università Politecnica delle Marche, è stato pubblicato su Nature Communications. Lo studio segna un avanzamento significativo nell’identificazione della patogenesi di una malattia che affligge almeno 2 milioni di individui nel mondo.

 

La Sclerosi Tuberosa (o malattia di De Bourneville-Pringle) è una sindrome genetica che colpisce un bambino su 6000. Essa è caratterizzata dalla presenza di tumori, in gran parte benigni ma dalla crescita incontrollata, in vari organi tra i quali cervello, rene, cuore e cute.

 

La malattia, autosomica dominante, è dovuta a una mutazione dei geni TSC1 o TSC2 che codificano, rispettivamente, per le proteine amartina e tuberina, formanti un complesso proteico. Pertanto, nei bambini affetti, tutte le cellule dell’organismo presentano la mutazione di uno dei due alleli e la crescita tumorale avviene nelle cellule che subiscono anche la mutazione dell’allele normale. Ne risulta che la malattia si manifesta in modo assai polimorfo.

 

Il complesso di amartina e tuberina regola negativamente mTOR (acronimo di mechanistic target of rapamycin, ovvero il bersaglio meccanicistico della rapamicina), una chinasi la cui funzione è necessaria per la proliferazione cellulare. Pertanto, la mutazione conferisce un vantaggio proliferativo alla cellula perché l’attività di mTOR non può essere inibita in modo fisiologico.  Ne deriva una crescita tumorale esagerata, per lo più benigna, ma che può portare alla nascita di centinaia di lesioni in tutto il corpo. Le lesioni possono raggiungere anche dimensioni tali da compromettere seriamente la funzione d’organo, ad esempio la causa principale di morte è l’insufficienza renale. Oltre alle numerose neoplasie, i bambini presentano frequentemente anche sintomi caratteristici dello spettro autistico.

 

A tutt’oggi, i pazienti affetti da sclerosi tuberosa vengono trattati con un farmaco, la rapamicina (o sirolimus), che, inibendo la funzione di mTOR, risolve parzialmente la crescita tumorale.

 

Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications e coordinato dalla Prof.ssa Elizabeth Henske del Brigham and Women’s Hospital- Harvard Medical School di Boston, ed a prima firma Dott. Nicola Alesi (laureatosi in Medicina e Chirurgia nel nostro ateneo e che ricopre ora il ruolo di Instructor in Medicine presso la Harvard Medical School), con la collaborazione del Prof. Shawn Ferguson di Yale e del Prof. Manrico Morroni dell’Università Politecnica delle Marche, ha identificato una nuova funzione del complesso proteico di amartina e tuberina (TSC1-TSC2), ovvero la regolazione del fattore di trascrizione TFEB, responsabile della biosintesi dei lisosomi.

 

I lisosomi sono organuli intracellulari finora considerati come centrali di riciclaggio e stoccaggio di proteine invecchiate, ma recenti evidenze scientifiche hanno conferito ai lisosomi importanti funzioni di regolazione della proliferazione cellulare, perché in grado di monitorare la disponibilità di nutrienti per la cellula.

Lo studio, appena pubblicato, ha dimostrato la presenza di un elevato numero di lisosomi nelle cellule mutate dovuto ad un’elevata attività di TFEB.

 

Lo studio ha un impatto notevole nel campo della sclerosi tuberosa perché fino ad oggi mTOR era noto per essere un regolatore negativo di TFEB, perciò era universalmente accettato che nelle cellule con la mutazione di TSC1 e TSC2 ci fosse un basso numero di lisosomi rispetto alla norma proprio in seguito all’iperattivazione di mTOR. Le osservazioni di microscopia elettronica del Prof. Morroni in modelli murini di Sclerosi Tuberosa, hanno contribuito a confutare questo assunto.

 

Attualmente i gruppi di ricerca sopra citati stanno lavorando nel follow-up dello studio e nella produzione di modelli murini di Sclerosi Tuberosa in cui aggiungere anche la mutazione di TFEB. Gli autori ipotizzano che questi modelli possano diminuire se non addirittura azzerare le lesioni tumorali.

  

La stretta e soddisfacente collaborazione tra Harvard Medical School e l’Università Politecnica delle Marche continuerà, dunque, nei prossimi anni in quanto convinti di essere sulla giusta strada per la risoluzione di un problema che affligge milioni di bambini e famiglie in tutto il mondo. 

 

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